STRUTTURA DELLA TARI
La TARI ha una struttura binomia essendo composta da:
quota fissa: determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti, riferite agli investimenti per le opere e agli ammortamenti;
quota variabile: rapportata alle quantità di rifiuti conferiti al servizio fornito e all’entità
dei costi di gestione.
ESCLUSIONE DALLA TARI PER LE AREE PRODUTTIVE DI RIFIUTI SPECIALI
Il presupposto impositivo della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte operative suscettibili di produrre rifiuti urbani. Pertanto, le aree che non rispettano tale condizione sono escluse dalla TARI, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile.
Nello specifico, per le utenze non domestiche le ipotesi di esclusione sono disciplinate dal I e III periodo dell’art. 1, co. 649, l. 147/2013, prevedendo rispettivamente che:
non sono assoggettate a TARI le superfici ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente;
i Comuni individuano le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.
A seguito della riforma apportata dal d.lgs. 116/2020, le aree produttive delle attività industriali e artigianali, nonché le altre attività sempre produttive di rifiuti speciali ex art. 184, co. 3, TUA (es. attività agricole, di recupero e smaltimento di rifiuti, di trattamento di acque reflue) devono essere escluse dal calcolo della superficie assoggettabile a tributo, valendo per queste una presunzione che si tratti di aree “ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali”. Vanno parimenti escluse le aree funzionalmente ed esclusivamente collegate al ciclo produttivo, compresi in particolar modo i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti.
Sotto il profilo operativo, si precisa che non esiste un documento specifico per dimostrare la sussistenza delle condizioni di non tassabilità. Occorrerà rifarsi al Regolamento comunale, al quale spetta di definire la specifica documentazione che si richiede al contribuente.
RIDUZIONE DELLA QUOTA VARIABILE
(TAR Sardegna Cagliari, Sez. II n. 893 del 31 dicembre 2021 Commissione Tributaria di Caserta, Sez. XI, 23 febbraio 2022, n. 824 Commissione Tributaria di Salerno, Sez. XIV, 22 giugno 2021, n. 1892 TAR Lombardia Milano, Sez. III, 29 agosto 2022, n. 1953; TAR Veneto Venezia, Sez. III, Sent., 06 ottobre 2022, n. 1504)
A fronte del coordinamento tra l’art. 238, comma 10, D. Lgs.152/06 (TUA) e l’art. 1, co. 649, della l. 147/2013, le utenze non domestiche possono ottenere una riduzione, o una esclusione, della quota variabile della TARI in caso di conferimento dei propri rifiuti urbani ex art. 183, co. 1, lett. b ter) (TUA) al di fuori del servizio pubblico presentando la seguente documentazione:
entro il 30 giugno di ogni anno, comunicazione ex art. 238, co. 10, TUA della scelta di avviare a recupero i propri rifiuti urbani tramite loro conferimento ad un operatore privato per un periodo non inferiore a due anni;
entro il 31 gennaio di ciascun anno (o il diverso termine più ampio previsto dai regolamenti comunali) idonea documentazione attestante la quantità di rifiuti effettivamente avviata a recupero nell’anno solare precedente.
L’utenza non domestica avrà diritto ad una riduzione della quota variabile proporzionale al quantitativo di rifiuti urbani che ha dimostrato, in tal modo, di aver avviato a recupero.
DOMANDE FREQUENTI
È vero che a fronte del nuovo art. 238, co. 10, d.lgs. 152/2006, come modificato dal d.lgs. 116/2020, la scelta per le utenze non domestiche di affidarsi al servizio pubblico o al mercato privato deve necessariamente riguardare tutti i rifiuti urbani dalla stessa prodotti (o tutto o niente)?
No. Anche a seguito del novellato art. 238, co. 10, d.lgs. 152/2006 – che riconosce l’esclusione dalla TARI per l’avvio a recupero della totalità dei rifiuti urbani prodotti dall’utenza non domestica – resta ferma la possibilità di conferire al di fuori del servizio pubblico, avviandoli a recupero, soltanto una parte dei propri rifiuti urbani. Ciò è stato da ultimo confermato dall’AGCM con il parere del 12 settembre 2022 (AS1858) ravvisando che in caso contrario “tutte le volte in cui nel territorio in cui operano le UND non fossero attivi soggetti industriali ai quali conferire tutte le frazioni di rifiuto simile all’urbano prodotto, esse sarebbero, di fatto, costrette ad aderire al servizio pubblico, pur in presenza di operatori privati potenzialmente più efficienti per il trattamento di singole tipologie di rifiuto, assicurando, per contro, al gestore del servizio di igiene urbana un’ingiustificata estensione della propria privativa.”
Esiste un obbligo di conferire i rifiuti classificabili come urbani exart. 183, lett b-ter, n. 2 al gestore del servizio pubblico?
No. La nuova definizione di rifiuti urbani, invero, non incide sul riparto delle competenze e delle responsabilità in materia di gestione di tali rifiuti e rileva esclusivamente ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio nonché delle relative norme di calcolo. Ciò è confermato da:
Considerando 10 della direttiva 851/2018: “La definizione di rifiuti urbani della presente direttiva è introdotta al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo. Essa è neutra rispetto allo stato giuridico, pubblico o privato, del gestore dei rifiuti e comprende pertanto i rifiuti domestici e quelli provenienti da altre fonti che sono gestiti da o per conto dei comuni oppure direttamente da operatori privati”;
Art. 183, lett. b-quater: “la definizione di rifiuti urbani…rileva ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio nonché per le relative norme di calcolo e non pregiudica la ripartizione delle responsabilità in materia di gestione dei rifiuti tra gli attori pubblici e privati”
Art. 198, comma 2 -bis: “Le utenze non domestiche possono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani…Tali rifiuti sono computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani”
Nota Mite del 14 maggio del 2021 n. 51657: “A tal proposito, è doveroso sottolineare come la definizione di rifiuti urbani, che in ogni caso non individua limiti quantitativi ai rifiuti simili per natura e composizione ai domestici provenienti da altre fonti, debba essere intesa esclusivamente ai fini degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché per le relative norme di calcolo”
Ai fini della riduzione della quota variabile è necessaria la dimostrazione dell’avvio a riciclo o è sufficiente l’avvio a recupero?
Come chiarito dall’ex Ministero della Transizione Ecologica nella nota n. 37259 del 12 aprile 2021, la disciplina della riduzione della quota variabile dall’art. 1, co. 649, l. 147/2013 deve essere coordinata con il novellato art. 238, co. 10, d.lgs. 152/2006, di modo che l’attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di avvio a recupero deve considerarsi sufficiente ad ottenere la riduzione della quota variabile.
Ai fini della riduzione della quota variabile è necessario comunicare l’impianto finale di recupero ovvero è sufficiente averli conferiti ad un impianto che effettua operazioni di R13?
No. Dal momento in cui il presupposto per il riconoscimento della riduzione della quota variabile consistite nella dimostrazione dell’avvio a recupero, a tal fine deve considerarsi sufficiente l’attestazione da parte del soggetto privato autorizzato che ha effettuato la prima attività di recupero dei rifiuti prelevati, senza cioè dover indicare l’impianto di recupero finale.
Può parlarsi di prima attività di recupero nella misura in cui il conferimento del rifiuto all’impresa autorizzata al recupero vincola il rifiuto stesso alla filiera del recupero, essendo questo necessariamente destinato ad una delle operazioni di recupero finale di cui all’allegato C della parte quarta del TUA (tra cui anche il riciclo). Pertanto, dovrà considerarsi sufficiente anche l’attestazione da parte dell’impresa che prelevi il rifiuto e provveda alla mera messa in riserva finalizzata al recupero (operazione R13), non potendosi per definizione prospettare destinazioni diverse dal recupero finale del rifiuto.
Può essere imposto un gettone massimo alla riduzione della quota variabile?
No. Come recentemente ribadito dalla Cassazione, Sez. V, 24 febbraio 2023, n. 5786, i Regolamenti comunali non potrebbero introdurre un limite alla riduzione della quota variabile per l’avvio a riciclo poiché “la ‘riduzione’ deve essere ‘proporzionale’ alla quantità di rifiuti derivanti da utenze non domestiche che il produttore dimostri di aver auti-riciclato”. Pertanto, “la fissazione di un limite massimo alla riduzione tariffaria, non previsto dal legislatore, altera il criterio di proporzionalità e non è, quindi, consentita, sicché il regolamento comunale che lo introduca è, in parte qua, illegittimo e va disapplicato anche di ufficio.”
Cosa fare se l’avviso TARI è illegittimo?
Avverso illegittimi avvisi di pagamento TARI, il contribuente potrà presentare ricorso in Commissione Tributaria entro i 60 giorni successivi alla conoscenza dell’atto (cfr. artt. 19 e 21 D.lgs. 546/1992).
Per ricevere il VADEMECUM sulla detassazione dalla Tari dei rifiuti prodotti dalle imprese e affidati al di fuori del servizio pubblico invia una mail al seguente indirizzo: promozione@confartigianatocosenza.it.